L’Europa che non c’è danneggia l’Italia
Di Carlo Pelanda (12-1-2009)
Quando è
entrata nell’euro l’Italia ha mantenuto la sovranità sul debito, ma ha ceduto
all’agente europeo quella sui mezzi per ripagarlo (bilancio e moneta flessibili).
Lo hanno fatto anche gli altri. Ma questi avevano debiti minori in rapporto al
Pil, con l’eccezione di Grecia e Portogallo. Inoltre Francia e Germania hanno
spesso aggirato le regole con trucchi contabili contando sul loro maggiore peso
geopolitico. L’Italia, invece, deve stare entro il 3% annuo di deficit,
sorvegliata speciale. Va precisato che se sfondiamo il deficit la vera
punizione non ci arriva dalla Ue, ma dal mercato che rifinanzia continuamente
il nostro debito. Se percepisce il
rischio di insolvenza o non compra nuovi
titoli – disastro - o li compra solo con un premio che aumenta i costi per lo
Stato (sta accadendo). Ma, fatta questa precisazione, che senso ha stare in un
sistema europeo che non ci aiuta a risolvere questo problema? Di fatto abbiamo congelato per i prossimi
secoli una situazione in cui una parte sostanziosa delle tasse che paghiamo va
a servizio della spesa per interessi (tra i 60 e 70 miliardi all’anno) e non
scuole, strade, innovazione e detassazione. In questa configurazione europea
l’Italia è destinata ad impoverirsi strutturalmente per restare nell’euro.
Inoltre, in fase di crisi quando serve flessibilità sovrana di spesa in deficit
per sostenere l’occupazione ed il ciclo economico interno, non abbiamo
strumenti. Gli italiani chiedono aiuti e sollievi fiscali a Tremonti e questi
può solo rispondere “non posso”. Ed ha ragione. Ma dobbiamo ammazzare la gente
in base a questa perfetta euroragione? Infatti parecchi analisti temono che
l’euro si dissolverà perché molte nazioni ad economia debole o troppo
indebitate, pur forti, come l’Italia, non riusciranno a sostenerlo. Ci sono
soluzioni? Certamente: (a) europeizzare il debito in modo da aumentare la
garanzia sui singoli debiti nazionali (cosa che farebbe risparmiare all’Italia
spesa per interessi grazie alla riduzione del rischio di insolvenza); (b) fare
un governo paneuropeo dell’economia in modo da spalmare meglio le misure
stimolative in fase di crisi e far funzionare con più fluidità il mercato
continentale in tempi normali; (c) cambiare lo statuto della Bce dando alla
politica monetaria non solo la missione di tutela contro l’inflazione, come
ora, ma anche quella di stimolazione della crescita. In una Europa così fatta
l’Italia starebbe bene. In quella che c’è è destinata alla depressione
strutturale. Cambierà?